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Il punto più basso che un uomo può raggiungere

Il 25 di novembre è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne.
Mi è ritornato in mente un brano che io avevo scritto per un capitolo del mio libro “Una vita come tante” ma che, alla rilettura della bozza, non mi sembrò opportuno inserirlo: mi sembrava facesse venire meno il tono di amore verso le donne che avevo cercato di inserire in ogni pagina.
In questa occasione lo propongo, perché ritengo possa indurre qualche spunto di riflessione.
Il punto più basso che un uomo può raggiungere
Sono seduto in poltrona nella mia terrazza godendo delle buganvillee fiorite e sento, in sottofondo, la voce del cronista del telegiornale snocciolare le notizie quotidiane. Sono assorto nei miei pensieri ma l'attenzione viene catturata: "Siracusa uccide la moglie davanti al figlioletto di 4 anni e si suicida". Mi ritorna in mente la notizia di qualche settimana prima che, a Marina di Massa, un altro marito aveva ucciso l'ex moglie e poi si era suicidato.
Lo stomaco mi si stringe. Come è possibile che un uomo arrivi a tanto?
Ripercorro la mia vita cercando di immedesimarmi, attraverso la mia esperienza, per trovare un possibile motivo, una dannata scintilla che possa far deflagrare tale esasperazione. Non trovo niente, neppure nei momenti di maggiore sofferenza. Troppo alto è il rispetto della vita, troppo alta è la mia considerazione d'amore verso l'altro sesso. Mi ritorna in mente, però, il periodo della mia vita al termine del lungo periodo di fidanzamento. In quell'occasione mi resi conto, per la prima volta, che molto era cambiato nei ruoli tra uomo e donna, tra ragazzo e ragazza. Dopo circa nove anni iniziavo a conoscere donne che non avevano più paura o remora a palesare la piena consapevolezza delle proprie capacità. Le ragazze che iniziavo nuovamente a frequentare o stavano studiando all'università o stavano lavorando da poco e, in entrambi casi, esprimevano liberamente la loro volontà di realizzare i propri sogni e le proprie aspirazioni, magari anche con l'indipendenza economica che avevano da poco raggiunto o con quella che avrebbero raggiunto appena laureate.
Di contro notavo i miei amici single, non rendersi conto pienamente di questa trasformazione.
In alcuni casi non riuscivano a capire il fatto di essere stati lasciati dalla propria compagna magari perché nel frattempo si era resa semplicemente consapevole che il loro rapporto non avrebbe raggiunto ciò che lei desiderava all'interno della coppia.
Queste notizie di cronaca, sono sempre seguite da interviste ad eminenti psicologi e sociologi che cercano di inquadrare e motivare il drammatico fenomeno, ma nessuno mi convince pienamente.
Mi sento presuntuoso, mi sento di darmi una mia risposta: l'uomo, nella evoluzione del suo rapporto con la donna, non ha saputo "crescere" rimanendo, in alcuni casi, ancorato a vecchi schemi, esempi distorti, palesi o subliminali, del proprio ambiente educativo, schemi che lo hanno reso incapace di intraprendere una nuova dialettica più paritetica e di confronto, anziché di prevaricazione.
Il femminicidio è la più bieca proclamazione del riconoscimento della propria impotenza di uomo verso l'evoluzione della donna. L'atto più aberrante ma anche il più irrazionale che un uomo può arrivare a fare, forza animale frutto dello scontro nella sua coscienza, tra ataviche rivalse di superiorità e la accettazione del diritto della donna di "scegliere".
(24/11/2015)