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Il mio nuovo aspetto artistico

Se qualcuno mi avesse predetto questa mia passione per la scrittura e per il teatro anche solo una decina di anni fa, avrei sorriso in faccia al mio interlocutore.
Al liceo non ho mai amato il componimento, i compiti di italiano. Per me erano più una perdita di tempo oltre che una reale fatica.
Cercavo sempre di ridurre al minimo il mio elaborato e la cosa mandava spesso su tutte le furie l'insegnante di italiano. "Guerrieri ma è possibile che tu non possa impegnarti a sviluppare ulteriormente le argomentazioni che introduci? Sei troppo sintetico, ti salva solo che l'italiano utilizzato è corretto." Diceva la mia professoressa e il voto spaziava tra il 6- e il 6 e mezzo.
Nella mia immatura giovinezza pensavo solo agli aspetti scientifici che mi affascinavano, al fatto che l'indirizzo di ingegneria che avrei preso e che avevo deciso sin da ragazzo, non avrebbe necessitato di grandi doti di scrittore.
Quanto mi sbagliavo! Anche se lo stesso periodo universitario mi confermava tutto ciò che avevo immaginato, perché erano numeri e ancora numeri anche agli orali, la situazione cambiò già durante il periodo da ufficiale in Marina e radicalmente quando entrai in IBM.
Non ho mai scritto tanto come nel mio periodo lavorativo: relazioni, resoconti, contratti, ordini, lettere, analisi, insomma dovetti ricredermi rapidamente e correre ai ripari perché mi resi subito conto che non potevo presentarmi, anche solo attraverso una lettera commerciale, con un italiano non chiaro e comprensibile o con errori di costrutto.
In realtà, scavando a fondo dentro di me, c'era sempre stata una piccola scintilla che mi suscitava il desiderio di scrivere qualche poesia, qualche prosa, essenzialmente alle persone a me vicine ma anche per me stesso. Forse però era più la necessità di esternare i miei sentimenti che una reale passione per la scrittura.
Qualche giorno fa, tra i post di facebook di una cara amica, ho letto un aforisma che, se non ricordo male, riportava questo concetto: “Studiate. Anche se nella vita è meglio furbi che colti. Perché la cultura rende liberi, critici e consapevoli...”. Una frase come tante che invitano alla cultura ma che, in questo preciso momento della mia vita, non è passata inosservata. Io ho sempre studiato tant'è che sono riuscito a prendermi la laurea in ingegneria, ma lo “studiare” della frase non poteva riferirsi solo alla materia scelta per il proprio futuro.
Solo ora, grazie a meravigliose persone che mi circondano, mi rendo conto che ho perso l'occasione di “studiare”, anche solo per curiosità, anche la letteratura, l'arte, il teatro, la pittura, il cinema, la musica, cercando di andare oltre al pur sempre limitato orizzonte delle specifiche materie di lavoro.
Quando sei giovane hai moltissimo tempo a disposizione e potresti sfruttarlo per completare l'indirizzo di vita che scegli e che persegui, qualsiasi esso sia, con la curiosità di approfondire cosa ci sia dietro un romanzo, un'opera teatrale, un quadro. Senza questa curiosità, mi sono accorto solo ora, si perde un potenziale enorme come se ci limitassimo ad ammirare la punta di un iceberg senza sapere che sotto c'è il novanta percento di ciò che non si vede e che potrebbe far scaturire altrettanta meraviglia.
Non sono la persona più indicata per lanciare ai giovani questa riflessione, proprio perché io stesso sono dovuto arrivare ad oltre cinquanta anni di età, per scoprire che mi ero perso qualcosa e mi sono reso conto di ciò solo grazie ad una serie di eventi fortuiti scaturiti dalla pubblicazione del mio libro “Una vita come tante”, grazie alle persone che mi ha dato modo di conoscere.
Ogni ragazzo dovrebbe vincere la presunzione di pensare che il tempo a sua disposizione sia infinito, come io stesso purtroppo non ho fatto. Il tempo non è infinito e ogni essere umano dovrebbe imparare da subito a non sprecarne neppure una goccia.
Gli attuali impegni di lavoro, per la famiglia, per i genitori anziani, per la burocrazia quotidiana, per i primi acciacchi dell'età, oramai non mi consentono più di recuperare le mancanze che mi sento dentro.
Soltanto le nuove esperienze nel campo artistico, che persone che hanno visto in me “qualcosa” mi consentono di portare avanti, mi hanno donato una sorta di riscatto verso me stesso.
Un aspetto affettivo mi fa collocare temporalmente la scintilla che ha iniziato a darmi la consapevolezza di quanto ho appena detto: la primissima volta che Franca Arborea mi insegnò a fare una lettura teatrale, ad appuntarmi quei segni inizialmente incomprensibili, di unione, di respiro, di pausa, di tono. Ad un tratto si interruppe e mi rese partecipe di un concetto che era solita insegnare durante i suoi laboratori teatrali.
"Vedi Pier Luigi, ognuno di noi nasce con una scintilla interna di anelito verso l'espressione teatrale. Non stupirti di scoprire, anche in te, questa nuova passione. In fondo questo desiderio è ancestrale. Già nella preistoria era presente il desiderio di rappresentare scene di vita quotidiana o scene di caccia nelle incisioni ma anche nei riti propiziatori. Quindi anche agli albori della umanità, l'uomo ha sentito il bisogno di rappresentare e di rappresentarsi, cercando, poi nel tempo, nuove forme artistiche più strutturate come il teatro classico quale quello derivante dalle rappresentazioni greche e romane."
L'ascoltavo incantato come un bambino al suo primo giorno di scuola. Sentirla parlare, accendeva la mia curiosità di sapere e mi rendeva partecipe del suo desiderio di trasmettere tutto il suo amore verso questa espressione artistica. Io, che in quel momento stavo seduto a quel tavolo del suo studio, solo di fronte a lei, mi sentivo lusingato della sua esclusiva attenzione, del rendermi partecipe dei suoi pensieri, del godere di quella sua immensa passione.
(16.06.2016)